Le origini degli scacchi sono parecchio antiche ed è difficile dire dove e quando furono inventati. L'ipotesi più accreditata pone il luogo d'origine di questo gioco in India. In particolare antichi poemi persiani descrivono, talvolta anche in dettaglio, un antico gioco da tavolo, lo Chatrang, che sembra avere notevoli tratti in comune con il moderno gioco degli scacchi.
Alcuni studiosi ritengono addirittura che lo Chaturanga derivi a sua volta da arcaici giochi cinesi, tuttavia si può dire che lo Chaturanga sia il gioco che ha i maggiori diritti di fregiarsi del titolo di progenitore del moderno gioco degli scacchi, in quanto i giochi più antichi presentavano solo alcuni tratti in comune con esso. Le origini dello Chaturanga sono datate, addirittura al I o II secolo d.C.
Con il trascorrere del tempo il nome e le regole dell'originale Chaturanga cambiarono in vari modi e secondo la regione di adozione. È così che nel Borneo il gioco venne denominato Chatur, nell'isola di Giava Chator, nella regione di Burma Chitareen e nelle diverse regioni asiatiche scacchi cinesi, coreani e giapponesi.
In Persia un pò alla volta cambiarono non solo il nome, prima Chatrang e poi Shatranj, ma progressivamente anche le regole, che pertanto a piccoli passi si stavano avvicinando a quelle moderne.
- La prima delle due leggende racconta che una volta un re vinse una grande battaglia per difendere il suo regno, ma per vincere dovette compiere un'azione strategica in cui suo figlio perse la vita. Da quel giorno il re non si diede più pace: la peggior sciagura che può capitare ad un padre è sopravvivere al proprio figlio. Inoltre il re avrebbe voluto poter trovare un modo per vincere senza sacrificare la vita del figlio, e tutti i giorni rivedeva lo schema della battaglia, ma senza trovare una soluzione. Tutti cercavano di rallegrare il re, ma nessuno ci riusciva. Un giorno venne al palazzo un brahmino ( il brahmino è un sacerdote o insegnante induista ), Lahur Sessa, che, per rallegrare il re, gli insegnò un gioco che aveva inventato: il gioco degli scacchi. Il re si appassionò a questo gioco e, a forza di giocare, capì che non esisteva un modo di vincere quella battaglia senza sacrificare un pezzo, suo figlio, e al contempo capì quale importante ruolo avessere i pedoni, i quali danno la vita, a volte, per salvare il Re o la Regina, si espongono e combattono con coraggio e se arrivano all'estremità opposta della scacchiera possono "trasmutarsi" e diventare pari in nobiltà agli altri pezzi della scacchiera. Allora il re fu finalmente felice e chiese a Lahur Sessa quale voleva che fosse la sua ricompensa: ricchezze, un palazzo, una provincia o qualunque altra cosa. Il monaco rifiutò, ma il re insistette per giorni, finché alla fine Lahur Sessa, guardando la scacchiera, gli disse: - Tu mi darai un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via -. Il re rise di questa richiesta, dicendogli che poteva avere qualunque cosa e invece si accontentava di pochi chicchi di grano. Il giorno dopo i matematici di corte andarono dal re e gli dissero che per adempiere alla richiesta del monaco non sarebbero bastati i raccolti di tutto il regno per ottocento anni. Lahur Sessa aveva voluto in questo modo insegnare al re che una richiesta apparentemente modesta poteva nascondere un costo enorme. Comunque, una volta che il re lo ebbe capito, il brahmino ritirò la sua richiesta e divenne il governatore di una delle province del regno.
- La seconda leggenda è quella che meno mi piace e racconta di un ricchissimo principe indiano le cui ricchezze erano tali che nulla gli mancava ed ogni suo desiderio poteva essere esaudito. Mancandogli però in tal modo proprio ciò che l'uomo comune spesso ha, ovvero la bramosia verso un desiderio inesaudibile: il Principe trascorreva le giornate nell'ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente. A corte si presentò uno stuolo di personaggi d'ogni genere, eruditi saggi e stravaganti fachiri, improbabili maghi e spericolati saltimbanchi, sfarzosi nobili e zotici plebei, ma nessuno riuscì a rallegrare l'annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente: "Vi porgo i miei omaggi, o potentissimo Signore, nonchè questo gioco di mia modesta invenzione. L'ho chiamato il gioco degli scacchi". Il Principe guardò perplesso il mercante e gli chiese spiegazioni sulle regole. Il mercante gliele mostrò, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Punto sull'orgoglio il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Memore della sua promessa, chiese all'inventore di tale sublime gioco quale ricompensa desiderasse. Il mercante, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Stupito da tanta modestia, il Principe diede ordine affinché la richiesta del mercante venisse subito esaudita. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra! Non potendo materialmente esaudire la richiesta dell'esoso mercante e non potendo neppure sottrarsi alla parola data, il Principe diede ordine di giustiziare immediatamente l'inventore degli scacchi.
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